Il ruolo della mente
Nell’ultimo articolo dedicato alla realtà del corpo abbiamo approfondito le cause che hanno reso possibile il prevalere della mente sul corpo nella conoscenza della realtà da parte dell’uomo, evidenziando come il corpo sia diventato erroneamente secondario in questo processo.
Ci siamo lasciati con un interrogativo: una volta constatato che è attraverso il corpo e le emozioni che veniamo a contatto con la realtà, qual è il ruolo che svolge la psiche e in che modo influenza il nostro apprendimento?
La mente, almeno nelle sue funzioni più ordinarie, interviene solo in un secondo tempo, selezionando, analizzando ed elaborando i dati che il corpo ha conosciuto previamente grazie ai sensi.
Così è in grado di analizzare e creare modelli utili a velocizzare e svolgere varie mansioni quotidiane, nonché di immaginare, progettare e quindi realizzare parte della realtà umana.
Da un punto di vista fisiologico i pensieri ripetuti, se associati ad emozioni intense, tendono a creare sinapsi (unioni tra neuroni) fortificate, e con esse percorsi neurali privilegiati (le cosiddette impronte neurali) che il pensiero ripercorre come binari prestabiliti ed inconsci all’interno del cervello, con l’obiettivo di automatizzarli e velocizzarli.
Sinapsi fortificate. Fonte: National Geographic España, numero speciale “Cerebro y Emociones”, Edizione RBA. RBA/NATIONAL GEOGRAPHIC ESPAÑA, Maggio 2010
La rete neurale così modellata e divisa in percorsi crea la sua rappresentazione esistenziale soggettiva.
Il mondo umano, a sua volta, si edifica a immagine e somiglianza di questa rappresentazione, assumendo tutte le divisioni e polarizzazioni presenti nella rete neurale del cervello.
Si dice che l’essere umano utilizzi solo il 10 per cento del cervello, presumibilmente perché le sue specifiche reti neurali fortificate riducono la grande vastità di sinapsi possibili, e con esse la possibilità di una visione sincronica e oggettiva della realtà.
In altre parole, una volta cristallizzata una nozione, per la mente diventa molto difficile rileggere quella realtà in altra maniera.
Il processo del pensare è lento, riduzionista, e basato su definizioni e distinzioni, che sono certamente indispensabili per realizzare mansioni specifiche, ma inadeguati a comprendere la realtà nel suo insieme.
Un antico adagio, a proposito del pensiero, recita: “la mente mente incessantemente”.
Attraverso la mente, infatti, la complessità della vita (la matrice informazionale di cui parlavamo nell’articolo precedente) viene spinta dentro etichette che ne mortificano l’essenza stessa, impedendoci di vederla nella sua oggettività e sostanziale complessità e unità.
Il filosofo danese S. Kierkegaard, a questo riguardo, riassunse questo limite in una nota frase: “Se mi dai un nome mi neghi”.
Altro aspetto da comprendere per quanto riguarda la mente è ciò che succede quando è attiva la corteccia prefrontale cerebrale, luogo in cui la scienza situa il pensiero logico.
Quando stiamo applicando il pensiero logico della mente, non possiamo contemporaneamente sentire la sensazione del nostro corpo, e quindi la percezione di ciò che succede intorno e dentro di noi.
Dal punto di vista della nostra fisiologia ordinaria o pensiamo o percepiamo, le due cose non possono avvenire contemporaneamente.
Infatti, molte forme depressive e sofferenze psichico-emotive sono caratterizzate da un continuo rimuginare, pensare, che imprigiona la mente della persona, allontanandola dall’esperienza della realtà del momento.
È per questa ragione che in psicoterapia una delle tecniche più utilizzate ed efficaci per calmare una persona in preda ad un attacco di ansia o a pensieri ossessivi è aiutarla a tornare al corpo, al respiro e alle percezioni che l’ambiente suscita in lei.
Anche la meditazione, antica forma di conoscenza diffusa in tutte le tradizioni, ha come obiettivo quello di calmare la mente, e attraverso l’attenzione al respiro e alle sensazioni del corpo, ritornare all’essenziale verità che ci trasmette il corpo con le sue percezioni.
In conclusione, possiamo dire che:
la mente razionale ha un potere edificante importantissimo sulla realtà: essa la crea e rende possibile le attività complesse. Non è deputata invece alla conoscenza diretta della realtà, di cui, da una parte ne ostacola l’esperienza e l’ascolto diretto, dall’altro ne riduce e limita la vastità di espressione.
Quest’ultima mansione è invece possibile grazie al corpo. In esso infatti tutte le funzioni sensoriali si integrano dando vita alla dimensione solida della realtà che conosciamo.
La capacità conoscitiva del corpo è immediata, integrale ed associata a uno specifico stato dell’intero corpo, che chiamiamo sentimento, in grado di comprendere l’insieme della realtà accogliendo in sé le differenze.
A conferma di ciò, recenti studi hanno evidenziato come un ricordo rivissuto con tutto il corpo, e non solo con la mente, sia in grado di sciogliere le impronte neurali, rifluidificare il tessuto cerebrale, e, quindi, riaprirlo alla comprensione della complessità della realtà nella sua sostanziale unità.
Arrivati a questo punto, forse, siamo in grado di comprendere il cattivo utilizzo che stiamo facendo tanto della mente come del corpo e le conseguenze che ciò comporta: difficoltà a percepire la realtà nella sua oggettività, a vivere la vita pienamente, e il rischio di costruire un mondo sempre più distopico e diviso di cui non riusciamo a percepire il senso e proposito generale.
I nativi americani di varia tradizione a tale proposito insegnano che:
dobbiamo avere cura del pensiero, perché esso crea la realtà, ma dobbiamo al contempo risvegliare l’ascolto integrale del corpo perché da esso può nascere una comprensione unitaria dell’esistenza.
Ritorno al corpo per una vera salute
Il ritorno al corpo e alle sue funzioni è dunque un passaggio indispensabile per ritornare a una vita reale, e per giungere a una vera guarigione, collettiva e individuale, aspetto che un professionista della salute non può ignorare.
Terapisti e medici dovremmo mettere da parte ogni schema di riferimento (letteratura scientifica e statistiche) e buona parte della diagnostica strumentale per andare alla riscoperta del corpo, unica fonte di informazione reale a disposizione.
Come dice J.P. Barral, il grande osteopata di fama mondiale, “solo il corpo sa!” Ce lo dimentichiamo, forse perché abbiamo perso la fiducia nelle nostre mani, nei nostri sensi, nella nostra possibilità di conoscere ciò che succede semplicemente mettendoci in ascolto.
J.P. Barral, mio insegnante, ha elaborato una forma di ascolto del corpo che ha rivoluzionato per sempre il mondo delle terapie manuali, e da cui nessun osteopata che vuole raggiungere una certa qualità di lavoro oggi può prescindere.
Nell’arco della sua vita J.P. Barral ha sviluppato una sensibilità manuale unica al mondo, e ciononostante, dice che all’ascolto non c’è mai fine!
Infatti, non esiste un limite alla conoscenza cui il corpo può aprirci, essendo la sua stessa fonte infinita.
Imparare ad ascoltare il corpo è un invito a conoscere il mistero della vita nel momento stesso in cui si manifesta, un invito a riscoprirlo ogni momento. Ciò è certamente un viaggio senza fine ed ogni volta differente, ma che gradualmente aprirà in noi spazi più ampi e realtà sempre più profonde e sottili.
Mi piace ricordare a tal proposito una frase molto intensa che lessi anni fa attribuita ad Albert Einstein, uno scienziato noto per aver cercato di sondare spazi nuovi ed inesplorati:
“La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero”.
Credo che tutti noi nascendo siamo chiamati a sperimentarlo vivendo.
Buon viaggio dunque, e come sempre Buona Salute Condivisa!
Per capire meglio, leggi anche la prima parte e la seconda parte di questo articolo.
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