Il corpo è reale.
Nell’articolo precedente abbiamo compreso quale prezioso serbatoio di informazioni sia il corpo.
Attraverso esso possiamo conoscere la stessa matrice informazionale, e a seconda di come esso stesso vi reagisca e la metabolizzi, conoscere il suo stato di salute.
Ma per conoscere lo stato di salute del corpo dobbiamo saperlo ascoltare.
Siamo in grado di farlo?
Ogni buon osteopata, terapista, medico, dovrebbe dedicare molto del suo apprendistato e della sua pratica clinica quotidiana a conoscere la realtà del corpo, sentendola e facendone veramente esperienza, per poter poi intervenire in maniera adeguata ed efficace sul suo stato di salute.
Ma cos’è la realtà del corpo? Cosa possiamo definire reale?
Per poter rispondere a queste domande dobbiamo innanzitutto riconoscere il contesto in cui siamo immersi.
Il nostro modello di società ha rinunciato a una conoscenza diretta della realtà, relegandola, per la maggior parte delle persone, a un mero esercizio mentale di memorizzazione di nozioni.
In tutto il periodo scolastico infatti, non veniamo istruiti ad utilizzare ed affinare i nostri sensi, emozioni e pensieri per conoscere e sperimentare la realtà in maniera autonoma e diretta.
Al contrario, acquisiamo la conoscenza solo attraverso delle verità cristallizzate che il mondo degli adulti ha selezionato per noi. Conosciamo solo imparando e fissando nella mente, tenendo fermo il nostro corpo.
Di fatto, cresciamo nell’immobilità e inattività del corpo per diverse ore al giorno, durante molti anni, sapendo che tanto più accumuliamo nozioni, quanto più saremo considerati ottimi alunni e poi persone istruite, degne di considerazione e di lavori di prestigio.
È in gran parte sulla base di questa programmazione scolastica che tutti noi abbiamo formato la nostra rappresentazione della realtà (vedi la prima parte dell’articolo “La realtà del corpo”), le nostre idee e i nostri giudizi in ogni ambito.
È così che la conoscenza della realtà è diventata per noi in gran parte una mera rappresentazione psichica, astratta, priva della tridimensionalità e dell’interazione col mondo che solo il corpo con i suoi strumenti conoscitivi (sensoriali, motori, emotivi ed intellettuali) può restituirci.
A pesare sul distacco dalla natura concreta ed esperienziale dell’esistenza si aggiunge anche l’assenza di un contatto vero e continuativo con la natura, gli animali, e la piccola comunità umana e affettiva tipica della vita delle campagne di una volta.
Oggi svolgiamo lavori spesso sedentari e ripetitivi, spesso davanti a schermi di pc, tv e smartphone, caratterizzati da una pervasività che non lascia spazio a nessuna forma di auto ascolto e ci rende sempre più solitari.
Con queste ultime tecnologie le informazioni psichiche e le esperienze virtuali hanno ormai raggiunto una mole tale da saturare il nostro tempo e la nostra attenzione, danneggiando non solo la nostra qualità di vita individuale e socioaffettiva, ma anche il nostro stato di salute fisica, psichica ed emozionale, e il loro delicato equilibrio.
Il tempo consumato da questa frenetica attività mentale, e da bisogni effimeri, non è più disponibile per ascoltarsi e sentirsi, per il silenzio, per godersi un tramonto, per una vita sociale e affettiva, e in sostanza per un sentimento esistenziale profondo e appagante.
Il corpo è diventato debole e vulnerabile, la mente stanca e annebbiata.
L’energia non bruciata nel movimento congestiona le emozioni e gli impulsi esasperandoli, impedendo una visione chiara e con essa la formazione di una volontà ben focalizzata.
Tale fenomeno è così comune e diffuso da essere diventato invisibile e impercettibile.
Privi di un vero metro di paragone, non ci chiediamo se questa realtà sia altrettanto reale e completa come quella vissuta dalle generazioni passate il cui corpo veniva coinvolto pienamente.
La domanda che potremmo porci è che tipo di vita sia quella deprivata dell’esperienza fisica e sensoriale a vantaggio di una vita quasi esclusivamente cerebrale.
Cosa la distingue da uno stato di sogno o da quella di un pc?
Possiamo dire che questa crescente condizione di menomazione funzionale, che ci impedisce di sperimentare concretamente la vita attraverso il corpo, ci crea una sofferenza intima (fisica, emotiva e psichica) di cui spesso non comprendiamo neppure l’origine?
Sulla base di queste considerazioni, ritengo che sia diventato di assoluta priorità ricordare che la nostra esistenza è innanzi tutto un’esperienza corporea.
Come esseri umani abbiamo bisogno di utilizzare tutte le funzioni corporali, come la capacità di movimento, i sensi, le nostre emozioni, per conoscere e adattarci al nostra pianeta, per nutrirci, ripararci, difenderci dai pericoli, assicurare la continuità della specie, ma anche per crescere, formare una famiglia e una comunità affettiva soddisfacente, sentirci appagati e financo creare ed elevarci spiritualmente.
Emozioni e sensazioni sono funzioni del corpo insieme indispensabili per la conoscenza del mondo e l’adattamento ad esso.
È Il loro lavoro sinergico, ininterrotto e per lo più inconscio, che determina le reazioni fisiologiche ed emotive adeguate agli stimoli che riceve.
Come facciamo, quindi, a riappropriarci della percezione del nostro corpo e della realtà che possiamo conoscere attraverso esso?
La risposta è duplice: bisogna sia imparare a sentirlo davvero, sia rendersi conto del ruolo della mente in tutto questo processo di acquisizione della conoscenza.
Un esempio di tale acquisizione di conoscenza della realtà attraverso le sensazioni date dal corpo è il meccanismo noto come “lotta o fuga”.
La reazione “lotta o fuga” è una reazione neuronale fisiologica, che si attiva in risposta a un pericolo imminente percepito attraverso i nostri sensi.
Quando, ad esempio, ci troviamo davanti a un animale feroce, è il senso della vista a sollecitare il senso di pericolo, scatenando una risposta fisica immediata verso la fuga o l’attacco, al fine di salvare noi stessi o i nostri cari.
In tutto questo non c’è mai un intervento della mente o della logica. Non è una decisione cosciente. È la risposta fisiologica del corpo, innescata a sua volta da uno dei cinque sensi, funzioni sensoriali del corpo.
In neuroscienze è noto, ma ognuno di noi ne ha fatto esperienza, che ogni emozione e sentimento si accompagna ad una manifestazione fisica: l’innamoramento lo possiamo percepire come “farfalle allo stomaco”; una delusione d’amore come “un cuore spezzato”, la paura come “gambe che cedono”, la tristezza come un “nodo alla gola”.
Molte esperienze fisiche, come il contatto con la sabbia, con il calore del sole, l’odore di un fiore o di una persona amata, la vista del mare o di una montagna innevata, sono tutte informazioni sensoriali che si accompagnano a un sentimento il cui gusto ci è noto.
Ogni stimolo dell’ambiente dunque passa attraverso il nostro corpo, coinvolgendo e provocando una reazione nelle sue funzioni. È questo che rende completa e reale un’esperienza.
Definiamo infatti “reale”, della realtà, solo ciò che possiamo conoscere e vivere, attraverso il nostro corpo, i suoi sensi, e lo stato che in noi provoca.
Non è un caso che in diritto processuale, una realtà incontrovertibile, o prova oltre ogni dubbio, sia quella fornita dal “testimone oculare”, di chi appunto ha assistito ai fatti, e visto e sentito tutto con i propri sensi.
Rimane ora da scoprire in che modo la mente processa ciò che il corpo apprende da quello che lo circonda, e come si rapportano tra loro corpo e mente per consentirci di sperimentare e co-creare la realtà
Di questo parleremo nel prossimo articolo. Ti lascio per ritrovarti presto, con il mio augurio di Buona Salute Condivisa!
Per capire meglio, leggi anche la prima parte di questo articolo.
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